Le due ossessioni di Antonio Scurati: Mussolini e Giorgia Meloni
di Salvo Germano
Dopo il caso Canfora, ora tutti i riflettori puntati su Antonio Scurati, al quale, per un improvvido disposto di un dirigente Rai, più meloniano che mai, è stato negato, il monologo quanto mai “banale e fanciullesco,” durante il programma _Che sarà, condotto da Serena Bortone. Conoscendo il soggetto, non è difficile capire quale il tema su cui ruotava il monologo: lo spauracchio del fascismo e del suo ritorno col governo di Giorgia Meloni, che dopo la nomina a premier non tardò a definire erede di Mussolini.
Oltre il danno la beffa, poiché il monologo è stato pubblicato e letto dalla stessa Bortone (temeraria giornalista in caccia di visibilità) prima di essere censurato.
Scurati, ospite a “Repubblica delle idee” rincara la dose contro il governo per la presunta censura.
Tra i vari passaggi, spunta una smargiassata con la firma dell’autore:
Quando un leader politico di tale carisma, come sicuramente è la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha un seguito molto vasto, nel cui seguito da qualche parte là sotto, vista anche la storia politica da cui proviene, c’è sicuramente qualche individuo non estraneo alla violenza – probabilmente non molto equilibrato – *quando il capo punta il dito contro il nemico e i giornali, o meglio i “giornosquadristi” fiancheggiatori del governo ti mettono sulle prime pagine, con il titolo sotto “l’uomo di m.” ti disegnano un bersaglio intorno alla faccia. Poi magari qualcuno che mira a quel bersaglio c’è. Succede, è già successo.”
Se non siamo alle comiche, poco ci manca, e nel virgolettato, un piglio delirante c’è sicuramente.
Discorsi pieni di luoghi comuni: Hegel direbbe di vuota profondità.
Scurati sostiene che oggi la violenza sia causa del fascismo, per fortuna morto e sepolto 70 anni fa.
Non c’è più per fortuna il manganello e l’olio di ricino per far tacere le voix dissidentes.
Come se non sapesse, che oggi la violenza cova e serpeggia nella piaga del precariato, nel liberismo del mercato speculativo, nell’imperialismo che genera guerra.
No, il morbo per lo scrittore (dotato nei suoi scritti saggistici e romanzieri di una innegabile ed inestinguibile forza narrativa) è il fascismo e la Meloni che lo genera.
Questi sono i discorsetti che discettano in certi pensatoi televisivi.
Non la nefandezza delle guerre, la violenza dei mercati e le avventate speculazioni, che stroncano il ceto medio. Il problema è, e sarà, il fascismo, dalle cui radici è sorto l’albero di fratelli d’Italia.
Ostracizzare il monologo di Scurati è stato un grave ed imperdonabile errore di un inetto funzionario RAI.
Anche perché l’episodio dà l’occasione propizia a tutte le litanie della sinistra del ritorno del fascismo in Italia.
Semmai la Meloni – io dico – va contrastata senza pietà per l’esagerato servilismo atlantico, (da cui inizialmente aveva preso le distanze) per l’invio di armi all’Ucraina, per il turbocapitalismo dei poteri forti e le agevolazioni alle banche, facendo un passo indietro, con la dissennata legge sulla ricapitalizzazione, con la quale, gli Istituti, realizzano un aumento effettivo del capitale sociale, a discapito dei poveri cittadini che si son visti quasi raddoppiare la rata del mutuo.
Questi sono i problemi sociali e reali del Paese, non certo il fascismo che c’entra come i cavoli a merenda.
Il monologo di Scurati è effettivamente imbarazzante e penoso.
Per dirla tutta, l’antifascismo nel periodo fascista era un atto mitico, e figure come Gramsci e Togliatti potevano rappresentare figure fondamentali e di argine alla brutalità del regime fascista.
L’odierno antifascismo in assenza di fascismo è quanto mai irrisibile e insieme strappalacrime, e serve a camuffare surrettiziamente l’inarrestabile consumismo sacralizzato e celebrato dalla società democratica che dovrà difendersi dal fantasmagorico ritorno dal fascismo.
Scurati ci vuol far credere che dobbiamo mantenere lo status quo, e difendere la democrazia da tutto ciò che possa trasformarla nella barbaria del fascismo.
Scurati gioca al vittimismo e all’oltraggio contro il governo, del tutto fuori da questa faccenda.
L’importante per la sinistra è trovare un punto d’appoggio, un appiglio per parlare di fascismo, evocandolo come incubo per la democrazia.
Mi piace citare un altro suo virgolettato, a dir poco delirante:
I nemici o gli avversari della democrazia non marciano su Roma, ci arrivano vincendo le elezioni. Poi erodono le basi della democrazia liberale con le riforme, a volte censurando qui o lì, ma magari attraverso una riforma costituzionale. Però noi progressisti non dobbiamo avere paura, perché la paura è la passione della destra sovranità”
La vicenda assume ancora toni surreali quando il sindaco di Bergamo propone ai colleghi di leggere il monologo il 25 aprile. Bene ha fatto la Meloni, che dopo aver consultato il suo inner circle decide di smarcarsi dalla vicenda, nonostante lo scrittore partenopeo la additi come bersaglio.
Anche questa di Scurati, un brutto esempio di roccaforte della democrazia, pari se non peggio, a quella del prof. Canfora, che addita la Meloni neonazista nell’animi.
Ma si sa, al peggio, (per chi non vince le elezioni) non c’è mai fine.
Scurati, intellettuale, scrittore famoso per la vittoria del 2005 al premio Campiello, con il romanzo “Il sopravvissuto,” che inizia con una strage in una scuola, ma altrettanto noto al grande pubblico, per aver detto a Bruno Vespa sul palco della Fenice e poi in differita televisiva:
se dovessi uccidere qualcuno, questo sarebbe lei.
Alludeva a Porta a Porta e quella forma di informazione – spettacolo, che secondo Scurati rimescava perniciosamente realtà e finzione.
La stessa finzione con cui aveva infiocchettato il discorsetto del 25 aprile, la festa della libertà, del sopruso di tutti i totalitarismi e le violenze che hanno infestato il secolo scorso, che poco hanno a vedere con il tentativo eversivo della presidente Meloni e il suo governo.
Semmai altri sarebbero i motivi e le criticità su cui potere attaccare, senza se e senza ma, Meloni, non certo la fiction del ritorno del tempo che fu, di cui l’autore delle saghe di Mussolini ne è ossessionato e vittima.